LA STORIA DI ALBERTO e di sua mamma Nuccia e papà Arturo

Il coraggio di osare
Alberto. I cambiamenti che fanno paura 

Quando Nuccia uscì dalla neonatologia dell’ospedale di Monza con il suo piccolo Alberto, il futuro per loro era tutto un punto di domanda. Sapevano che Alberto non vedeva, per il resto non le dissero granché. Una frase però le si fissò nella mente: «Signora, lei ha una grande responsabilità

. Se sarà una mamma che ride, suo figlio vedrà il mondo bello e allegro; se sarà una mamma triste, suo figlio vedrà il mondo triste». La pronunciò la neuropsichiatra e oggi Nuccia ammette che «ho pianto tanto nella mia vita, ma nessuno mi ha mai vista». Nuccia è una bella signora, vulcanica e sorridente. Ama andare al cinema, parla come un fiume in piena (dei suoi figli, dell’autobiografia di Renzo Arbore che sta leggendo, del servizio sulla Lega del Filo d’Oro trasmesso la sera prima al tg1, dei documenti da consegnare ad alcune conoscenti che vogliono fare una donazione alla “Lega”) e si commuove quando la nipotina di un’amica, alle prese con le prime paroline, la cerca al cellulare e la chiama “zia Uccia”. Alberto oggi ha 37 anni «e io mi chiedo sempre cosa avremmo fatto senza la Lega del Filo d’Oro», dice lei. E aggiunge: «Io non penso a quando non ci sarò più, so che mio figlio sarà qui a Lesmo e starà bene; mi chiedo invece che cosa sarebbe stato di noi – di noi come famiglia, non solo di Alberto – se non avessimo incontrato la “Lega”». Perché «a volte davvero ti sembra di essere in un tunnel senza uscita, rasenti la disperazione. Invece noi grazie alla Lega del Filo d’Oro siamo una famiglia serena: ci hanno dato in dono una vita bella».

Un sollievo e una pugnalata

Alberto nasce nel 1979 a Monza, in un giorno di neve, sano ma molto prematuro. Ad accoglierlo, insieme a mamma Nuccia e papà Arturo, c’è una sorella – Alessandra – che sta per compiere sei anni. Alberto pesa 950 grammi e per qualche mese lotta per la vita dentro un’incubatrice donata all’ospedale di Monza dal cavalier Danilo Fossati, il patron della Star, l’azienda dei dadi che ha sede lì vicino: Nuccia ancora non lo sa, ma quella figura sarà importante per tutta la storia futura di Alberto e non solo. Soltanto a giugno, poco prima delle dimissioni, un medico comunica a Nuccia che «il bambino non ci vede»; al marito poi lo deve dire lei. Nuccia e Arturo si attivano, Alberto riceve subito tanti stimoli e lo stimolo più forte è senza dubbio l’avere una sorella. Alberto cresce, quanto a salute è una roccia, però non parla. «Abbiamo tentato tante strade, anche un’operazione agli occhi a Berna. Per qualche tempo l’ho portato da un guaritore… cos’avevo da perdere? Mi aggrappavo a qualcosa che mi desse una speranza, là dove la medicina diceva solamente dei “no”», ricorda Nuccia. E aggiunge: «In tanti mi hanno detto “ci vuole un miracolo”, “portalo a Lourdes”… Ma il vero miracolo per me è stato arrivare alla Lega del Filo d’Oro». Alla Lega del Filo d’Oro arrivano per via di un’altra frase da mandare a memoria. La dice a Nuccia una signora non vedente, seduta accanto a lei ad un convegno: «Tu non devi pensare ad Alberto oggi, ma a quando sarà grande. Guarda me, io per tanti anni ho odiato mio padre perché mi ha messo in un istituto, ora non so come ringraziarlo». Quella signora parla a Nuccia e Arturo della Lega del Filo d’Oro e del Centro Hollman di Cannero Riviera, di cui la “Lega” aveva formato il personale. Alberto lo frequenta per un anno e mezzo: impara a dormire

da solo, il controllo sfinterico, a camminare. «La prima volta che abbiamo fatto una camminata mano nella mano, sulle montagne lì attorno, non mi sembrava vero…», ricorda Nuccia. In una notte dell’estate 1986, però, un incendio distrugge il Centro. I bambini sono tutti a casa per le vacanze, ma a settembre non c’è possibilità di rientrarvi. «Mi attaccai al telefono per cercare di portare Alberto a Osimo e dare continuità al lavoro iniziato: arrivò una bolletta del telefono da 599mila lire, ma ne è valsa la pena», ride oggi Nuccia. Il “sì” della Lega del Filo d’Oro è insieme «un sollievo e una pugnalata»: significa portare un bambino di sette anni a 500 km da casa e lasciarlo lì, «non metterlo a letto la sera, non svegliarlo la mattina, non giocare con lui… E spiegare alla sorella, che era ancora bambina, che tutto questo era per il bene di Alberto». È il 24 novembre 1986 quando Alberto, Nuccia, Arturo e la nonna si mettono in auto alla volta di Osimo. Alessandra resta con il nonno: «I miei genitori mi hanno aiutato moltissimo, avere una rete è indispensabile. Lo stesso la  casa, tanto che sua figlia per Alessandra è come una sorella». Alessandra è un capitolo che Nuccia per delicatezza nei suoi confronti preferisce non aprire, se non per raccontare con orgoglio del suo lavoro, della sua passione per Bruce Springsteen, della festa del suo matrimonio: «Credo che Alessandra sia stata sempre serena, anche se ha dovuto fare delle rinunce: per tante cose penso che nemmeno stesse a chiedermi il permesso, sapeva da sola che non poteva fare tardi o uscire in auto quando noi eravamo a Osimo da Alberto. Certo, io di lei mi sono persa tanto».

Esplorare i confini del possibile

Piove per tutto il viaggio, quel giorno di novembre, da Monza a Osimo. Sbagliano anche strada e si inerpicano sulla collina di Santo Stefano passando per le strade bianche di campagna. Ma appena varca la soglia del Centro della Lega del Filo d’Oro, Nuccia sente di essere a casa: «C’era la musica, c’erano i colori, i sorrisi… Non sembrava per nulla un centro per persone pluriminorate. L’incontro con la “Lega” per noi è stato un miracolo, non esagero». Per la prima volta lì Nuccia pensa che la relazione con suo figlio «non fosse solo tenerlo in braccio, lavarlo e vestirlo… ma che un giorno avrei potuto anche comunicare con lui». È un miracolo che non ha nulla di eclatante, che non avviene in un istante, ma che si compie giorno dopo giorno, un passo dopo l’altro, con progressi quasi impercettibili. Un miracolo che, Nuccia a questo tiene moltissimo, ha a che fare con l’onestà di tutti gli operatori della “Lega”, «gente che ogni sera si chiede se anche quel giorno ha fatto tutto il possibile per i nostri figli». È questa la specialità della Lega del Filo d’Oro, nell’esperienza di Nuccia: esplorare i confini del possibile, intravedendo ciò che ancora non c’è. «Provano, fanno tentativi, cercano strade che non ci sono, spostano sempre un po’ più in alto l’obiettivo», racconta. In una parola, «hanno coraggio». Non che il coraggio manchi alle mamme e ai papà di questi ragazzi, ma Nuccia ammette che «noi genitori spesso abbiamo paura del cambiamento, delle novità, soprattutto quando le cose vanno bene: desideriamo solo mantenere l’equilibro tanto faticosamente raggiunto e speriamo che nulla lo rompa. Abbiamo paura di quello che potrebbe succedere». Invece loro, gli operatori della “Lega”, «stimolano continuamente i ragazzi e così portano i nostri figli a raggiungere sempre nuovi traguardi. Per le leggi e le normative, Alberto a 18 anni ha smesso di apprendere, la realtà invece è che qui lui va sempre avanti». Di esempi Nuccia ne avrebbe una caterva ma ne sceglie tre: Eurodisney, il dentista, il camper. A Eurodisney Alberto ci è andato per i suoi 18 anni, cinque giorni con le sue insegnanti, con tanto di viaggio in aereo: «Quando me lo proposero pensai “siete degli incoscienti”, però mi fece tanto piacere. E Alberto fu così felice…», ricorda Nuccia. Quella del dentista invece è un’esperienza recentissima e ha visto Alberto affrontare alcuni interventi senza bisogno di ricorrere all’anestesia generale. Sembrava impossibile che Alberto potesse restare seduto sulla poltrona del dentista e lasciarsi toccare e lavorare in bocca: in effetti è un’enorme sfida per chi non ha la possibilità di controllare il mondo esterno e istintivamente tende a considerare ogni intromissione nel proprio spazio corporeo come una possibile minaccia. «Ci sono voluti cinque mesi di avvicinamento, ma alla fine l’anestesia non è servita. Io stessa la davo per scontata! Bravo il dentista e bravo Alberto, ma il punto è che la Lega del Filo d’Oro non si perde mai, piuttosto si inventa una strada». È però la vicenda del camper che per Nuccia è la “summa” del modo di porsi della Lega del Filo d’Oro, ciò che la rende tanto unica e speciale agli occhi delle famiglie. È la fine del 2004 e la Lega del Filo d’Oro sta per inaugurare il suo primo Centro fuori dalle Marche. Dopo 15 anni, il sogno di avere una “Lega” in Lombardia, con Alberto più vicino a casa, sta per diventare realtà. Il Centro Socio Sanitario Residenziale di Lesmo sorge su un terreno di quasi 50mila mq donato alla Lega del Filo d’Oro dal cavaliere Danilo Fossati, lo stesso delle incubatrici dell’ospedale di Monza dell’inizio di questa storia. Un sogno che ha preso il via con una lettera che proprio Nuccia scrisse al cavaliere nel 1986: «Ho sempre cercato di impegnarmi per la Lega del Filo d’Oro: è un modo per ricambiare quanto ho ricevuto, con la consapevolezza che sto solo facendo qualcosa per mio figlio: lui è sereno grazie alla “Lega”, e quello che loro fanno costa, è inutile girarci attorno. Tirare fuori le potenzialità delle persone costa, garantire questa qualità del servizio costa. Ciò che faccio per la “Lega” mi torna ancora indietro», si schermisce lei. Il 5 dicembre 2004, dopo 18 anni a Osimo, Alberto cambia casa, si trasferisce. Il viaggio di per sé non è una cosa scontata, Alberto in quel periodo è difficile da gestire: «Hanno pensato a un camper, visto che per Alberto il divano è una specie di “copertina di Linus”». Sul camper viaggiano un educatore, un infermiere e l’autista, seguiti da un pulmino per l’emergenza: «per spostare Alberto hanno messo in campo cinque persone e due mezzi. Questo dà davvero l’idea di quanta attenzione pongano alla persona, al di là della disabilità». Il viaggio va a meraviglia, l’inserimento nel nuovo Centro pure, nonostante le tante paure che Nuccia aveva: «Come reagirà? Gli mancheranno le persone che quotidianamente si sono prese cura di lui? Gli piacerà il nuovo gusto dei cibi?», chiedeva lei nella lettera di saluto agli operatori di Osimo. «Ma so che nulla viene trascurato, nulla è lasciato al caso». Da allora è un’altra vita. Nuccia viene da Alberto anche quattro volte la settimana, almeno due volte insieme al marito, ogni tanto Alberto passa da casa in compagnia di un educatore: «Una volta mi preoccupavo di ciò che Alberto non fa, adesso conta solo che lui sia sereno, non deve dimostrare niente a nessuno». Il Centro di Lesmo per Nuccia è «il dopo di noi durante noi, ed è bellissimo perché noi genitori siamo coinvolti e condividiamo tutto ciò che riguarda nostro figlio. Ne sono molto orgogliosa: un ente può permettersi di avere le porte sempre aperte solo quando non ha nulla da nascondere», spiega Nuccia. Il pomeriggio insieme sta per finire e Nuccia torna al concetto da cui tutto è partito: «Alla “Lega” ci hanno fatto capire che la famiglia è come una macchina a batterie: se non le ricarichi, la macchina non va più. Noi siamo le batterie, con il diritto e direi anche il dovere di ricaricarsi. Negli anni ci siamo liberati da tanti sensi di colpa, che non servono a nessuno: a me piace il cinema, ci vado, mio marito ama passeggiare nei boschi con il nostro cane Jack… Ecco, per tutto questo mi chiedo cosa sarebbe stato della nostra famiglia senza Lega del Filo d’Oro… Con loro accanto, la strada è diventata dritta».

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