INDICE GLOBALE DELLA FAME 2018 MIGRAZIONE FORZATA E FAME

INDICE GLOBALE DELLA FAME 2018

MIGRAZIONE FORZATA E FAME

MESSAGGI CHIAVE

L’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index, abbreviato in GHI) 2018 – il tredicesimo di una serie annuale – presenta una misurazione multidimensionale della fame a livello globale, regionale e nazionale, che si basa su quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita e mortalità dei bambini sotto dei cinque anni.

Il rapporto di quest’anno si concentra sulla fame e sull’aumento della migrazione forzata, due sfide interconnesse che richiedono un’azione a lungo termine e delle soluzioni politiche.

LA FAME NEL MONDOE’ ANCORA UN GRAVE PROBLEMA

L’Indice Globale della Fame 2018 indica che il livello di fame e malnutrizione mondiale rientra nella categoria grave, con un valore di 20,9, in calo rispetto al 29,2 del 2000. La fame è ancora a un livello grave o allarmante in 51 paesi ed estremamente allarmante in un solo paese (Repubblica Centrafricana).

Secondo il GHI 2018, dei 79 paesi che al momento presentano un livello di fame moderatograveallarmante ed estremamente allarmante, solo 29 raggiungeranno l’SDG2 (Obiettivo Fame Zero) entro il 2030.Alla luce dei risultati già ottenuti, sappiamo che sono possibili progressi significativi, ma l’obiettivo di eliminare la fame entro il 2030 per tutti i paesi sarà raggiunto solo con maggiori sforzi e approcci innovativi.

LE REGIONI DEL MONDO PIU’ COLPITE DALLA FAME: AFRICA A SUD DEL SAHARA E ASIA MERIDIONALE

Appare chiaro nel GHI 2018 che le regioni del mondo in cui la fame rimane ancora grave sono l’Asia meridionale -con un punteggio di 30,5 – e l’Africa a sud del Sahara – con un punteggio di 29,4 – dovei tassi di denutrizione della popolazione, l’arresto di crescita, il deperimento e la mortalità infantile sono a un livello inaccettabile.

Il tasso di deperimento infantile dell’Asia meridionale costituisce una grave emergenza di sanità pubblica ed è superiore a quello delle altre regioni del mondo.  In questa misurazione va ricordata l’incidenza dell’India, lo stato con più alta percentuale di deperimento infantile della regione (21%). Il tasso regionale di arresto della crescita invece è sceso rispetto al 2000, passando da circa la metà a oltre un terzo di tutti i bambini, ma si tratta pur sempre del risultato peggiore a livello mondiale.

In Africa a sud del Sahara, instabilità politica, condizioni climatiche avverse e  conflitti prolungati causano un  aumento del tasso di denutrizione, oggi pari al 22%, in più alto tra le regioni a livello mondiale. Zimbabwe, Somalia e Repubblica Centrafricana hanno i tassi più ele­vati di denutrizione, che vanno dal 46,6% al 61,8%.Inoltre i 10 paesi al mondo con il più alto tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni si trovano tutti in Africa a sud del Sahara, tra i più gravi Somalia (13,3%), Ciad (12,7%) e Repubblica Centrafricana (12,4%).

L’instabilità generata dai conflitti contribuisce alla malnutrizione infantile, che a sua volta incide sulla vulnerabilità dei bambini alle malat­tie e può portare a morte prematura.

Secondo il GHI 2018, sei paesi soffrono un livello di fame allarmante (Ciad, Haiti, Madagascar, Sierra Leone, Yemen e Zambia), mentre uno, la Repubblica Centrafricana, è estremamente allarmante(53,7 punteggio di GHI) a causa di instabilità, violenza settaria e una guerra civile che attanaglia il paese dal 2012.

Diversi paesi che nel 2000 avevano un livello di fame estremamente allarmanteregistrano oggi una riduzione dei loro punteggi del 50% o più, rientrando così nella categoria grave. Tra di essi figurano Angola, Etiopia e Ruanda. Complessivamente sono 45 su 119 i paesi in cuila fame è grave.

Nonostante questi dati preoccupanti, c’è comunque motivo di essere ottimisti: nel GHI 2018 27 paesi inAsia meridionale e Africa a sud del Sahara sono riusciti a raggiungere un livello moderato, come per esempio Gabon, Ghana, Mauritius, Senegal, Sudafrica e Sri Lanka. Il GHI 2018 presenta due paesi in miglioramento nella lotta alla fame e alla malnutrizione, nonostante punteggi di GHI ancora gravi: il Bangladesh (26,1) e Etiopia (29,1).In Bangladesh negli ultimi decenni si è registrato un declino dell’arresto della crescita infantile. Si ritiene che una crescita economica favo­revole ai poveri, miglioramenti dell’istruzione dei genitori, programmi nutrizionali, e attenzione ai settori connessi alla nutrizione, come l’igiene e la salute, abbiamo permesso il raggiungimento di tale risultato.

Negli ultimi decenni povertà e malnutrizione sono diminuite in Etiopia, ma la fame rimane a livelli problematici.L’Etiopia è stata una delle economie a più rapida crescita al mondo degli ultimi anni.

Questo ha permesso al governo di attuare una serie di politiche e programmi che dimostrano un forte impegno contro l’insicurezza alimentare e la malnutrizione, alcuni delle quali volte alla promozione della produttività agricola, all’arricchimento della dieta alimentare, al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie per tutti.

PAESI CON DATI INSUFFICIENTI E FONTE DI GRANDE PREOCCUPAZIONE

Nel 2018 non è stato possibile calcolare i punteggi GHI di 13 paesi perché non erano disponibili i dati su uno o più degli indicatori (spesso a causa di conflitti violenti o disordini politici). Sette dei paesi con dati insufficienti sono fonte di notevole preoccupazione per la loro situazione di fame e malnutrizione.

InBurundi si stima che circa1,67 milioni di persone siano vittime di insicurezza alimentare e la malnutrizione infantile sia dilagante.

In Repubblica Democratica del Congo 7,7 milioni di congolesi delle zone rurali si sono trovati di fronte a una grave insicurezza alimentare nel 2017.Alla fine dello stesso anno si contavano circa 4,5 milioni di sfollati interni, oltre 700.000 rifugiati nei paesi vicini.

L’Eritrea – dove il tasso di arresto della crescita infantile stimato è del 52,8% e quello di deperimento infantile del 14,5% -ad oggi è uno dei maggiori “produttori” di rifugiati al mondo.

La Libia vede un conflitto interno ancora in corso che ha perturbato la produzione agricola e ridotto l’offerta di prodotti alimentari sui mercati. I rifugiati, i richiedenti asilo e gli sfollati interni sono particolarmente vulnerabili all’insicu­rezza alimentare.

In Somalia, dove sono evidenti le conseguenze della carestia del 2011 e della siccità del 2017, la denutrizione colpisce oltre il 50% della popolazione e la mortalità infantile è il 13,3%:i due tassi più alti tra tutti i paesi inclusi in questo rapporto.

A febbraio 2018 in Sud Sudan quasi metà della popolazione del paese ha affrontato una situazione critica di insicurezza alimentare. Quasi un bambino su dieci non soprav­vive al compimento del quinto anno di età.Infinein Siria, dove l’insicurezza alimentare è un grave problema sin dall’inizio del conflitto nel 2011, a giugno 2018 10,5 milioni di persone soffrivano la fame a causa dell’impennata dei prezzi alimentari, del massiccio sfollamento, della perturbazione dei mercati e dei sistemi di trasporto, del deterioramento dei sistemi agricoli e della perdita di posti di lavoro e di mezzi di sussistenza.

MIGRAZIONE FORZATA E FAME: DUE PROBLEMI STRETTAMENTE CORRELATI

A livello mondiale il fenomeno delle persone costrette ad abbandonare la propria casa ha raggiunto proporzioni enormi. Le stime UNHCR parlano di 68,5 milioni di individui in tutto il mondo, tra cui 40 milioni di sfollati interni, 25,4 milioni di rifugiati e 3,1 milioni di richiedenti asilo.

La migrazione forzata e la fame – due problemi strettamente correlati – colpiscono alcune delle regioni più povere e più segnate da conflitti del mondo:sono quiidentificati e analizzati i fattori principali che ostacolano un aiuto efficace alle persone prima, durante e dopo lo sfollamento.

I più importanti campi profughi al mondo – quelli che raccolgono per­sone provenienti da Afghanistan, Myanmar, Somalia, Sud Sudan e Siria – ospitano molti più sfollati forzati di quanti non ne arrivino in Europa.

La risposta ai bisogni degli sfollati in situazioni di insicurezza alimentare deve essere rafforzata lavorando su quattro settori chiave:

  • Riconoscere e affrontare la fame e lo sfollamento come problemi politici

Spesso si ritiene che la fame, come lo sfollamento, derivi da cause ambientali o naturali. I disastri naturali – siccità, inondazioni e gravi eventi climatici – portano alla fame e allo sfollamento solo quando i governi non sono preparati o disposti a reagire, per man­canza di capacità o deliberata negligenza.

  • Adottare un approccio di lungo periodo alle situazioni di sfollamento prolungato che preveda un sostegno allo sviluppo delle comunità che ospitano gli sfollati

La risposta alla migrazione forzata è quasi sempre quella di intraprendere azioni umanitarie a breve termine per soddisfare le esigenze più basiche, alimentari e non, degli sfollati. In realtà la maggior parte dei flussi migratori forzati si protrae per molti anni, persino per generazioni. Servirebbe investire in progetti a lungo termine favorendo anche il sostentamento economico, rafforzando la resilienza e offrendo bene­fici alle comunità che ospitano gli sfollati.

  • Fornire agli sfollati in situazioni di insicurezza alimentaresostegno nelle loro regioni d’origine

La maggior parte delle persone che sono costrette a migrare tende a raggiungere il più vicino luogo sicuro e si trova quindi nei paesi e nelle regioni più poveri. I rifugiati e gli sfollati interni in situazione di insicurezza alimentare devono essere assistiti, se pos­sibile, nelle loro regioni d’origine.

  • Riconoscere che la resilienza degli sfollati non è mai del tutto assente e deve costituire la base per fornire sostegno nel medio e lungo termine

Gli sfollati non perdono mai del tutto la loro capacità di agire e di resi­stere. Pertanto, una risposta efficace agli sfollamenti forzati dovrebbe concentrarsi sul rafforzamento della resi­lienza in modo da sostenere i mercati locali e rafforzare i sistemi di sostentamento, rendendo così le persone più autosufficienti e indipendenti.

RACCOMANDAZIONI STRATEGICHE

Non lasciare indietro nessuno – èfondamentale l’azione congiunta della comunità internazionale, dei governi nazionali e della società civile al fine di:

  • Concentrare le risorse sulle regioni del mondo in cui si trova la maggior parte degli sfollati(i paesi a basso e medio reddito e quelli meno sviluppati)
  • Fornire maggiore sostegno politico e umanitario agli sfollati interni e sostenerne la protezione giuridicain linea con il Piano d’Azione 2018-2020 delle Nazioni Unite per il miglioramento della prevenzione, della prote­zione e delle soluzioni per gli sfollati interni.
  • Dare priorità alle vulnerabilità di donne e ragazzegarantendo loro pari accesso a beni, servizi, risorse produttive e finanziarie e opportu­nità di reddito; e collaborare per porre fine alla violenza di genere.
  • Aumentare gli investimenti, promuo­vere pratiche agricole sostenibili e migliorare la governanceper accelerare lo sviluppo delle zone ruralidalle quali proviene un gran numero di sfollati e dove la fame è spesso maggiore.

Soluzioni a lungo termine:

  • Rafforzare la resilienza delle popolazioni sfollatefornendo accessoall’istruzione e alla formazione, all’occupazione, all’assi­stenza sanitaria, ai terreni agricoli e ai mercatiperché possano costruire la propria autonomia e garantirsi la sicurezza alimentare e nutrizionale a lungo termine.
  • Implementare soluzioni durature per gli sfollati:l’integrazione locale o il ritorno alle regioni d’origine su base volontaria; espandere percorsi legali sicuri; creare meccanismi per accelerare la determinazione dello status di rifugiato.

Dimostrare solidarietà, condividere responsabilità:

  • Adottare e attuareil Patto Globale sui rifugiati delle Nazioni Unitee il Patto Globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare, e integrarne gli impegni previsti nei piani politici nazionali.
  • Mantenere e aumentare gli impegni dei governi nei confronti di organizzazioni che sostengono rifugiati e sfollati interni.
  • Affrontare le cause profonde dello sfollamento forzatoe sostenere i principi umanitari e i diritti umani nell’assistenza e nell’accoglienza di rifugiati e sfollati interni e delle comunità ospitanti. Non usare l’aiuto pubblico allo sviluppo come merce di scambio nei negoziati sulle politiche migratorie.
  • Promuovere un dibattito in materia di migrazione, sfollamento e rifugiati, basata sui fatti concreti. I governi, i politici, le organizzazioni internazionali, la società civile e i media dovreb­bero lavorare per contrastare in modo attivo i pregiudizi e promuo­vere un dibattito più informato su questi temi.
Precedente 8a edizione dei bandi Gilead: 66 premi a ricercatori e associazioni pazienti Successivo ANGELO - LIFE OF A STREET DOG: PRESENTAZIONE UFFICIALE DEL CORTOMETRAGGIO AL MONDADORI MEGASTORE DI MILANO